30 anni di passione:come sono diventata guida.

Di fronte ad un insuccesso non ci si deve disperare, perché accade spesso che dai peggiori fallimenti nascono le più belle vittorie.”
MICHELE SCIRPOLI

Diciamo che era l’ultimo dei miei pensieri, quello di diventare guida turistica.

Però, in casa ero considerata un po’ fuori dalle righe, non ero molto attratta dai tranquilli impieghi “fissi”,magari in ufficio, con un capo e i colleghi, pranzetto al bar e stipendio a fine mese. Faccio parte di quella generazione che oggi viene chiamata “boomer”, forse semplificando troppo :per la verità, noi 20/25 enni degli anni 80,avevamo tanti sogni, tanta fantasia, siamo stati una generazione di passaggio verso l’era digitale. Erano gli anni in cui Milano era un punto di riferimento, lo yuppismo, i Duran Duran, i capelli cotonati, le spallone, le tv commerciali e l’onnipresente parola “manager”… Fatto sta che un giorno la ditta per cui lavoravo, si è disfatta di alcune figure non indispensabili, fra cui, io e nel giro di una settimana, ero al collocamento, abbastanza isterica e depressa.

A incrementare questo mood, ci si metteva pure il mio instabile fidanzatino dell’epoca, che però arriva con la notizia che la Provincia di Genova aveva emesso un bando per selezionare guide turistiche. Non ero per niente convinta, non mi ci vedevo, ma poi mi sono iscritta, ma più per tenermi impegnata con qualcosa nelle mie lunghe giornate improduttive.

Oggi si tende a dire “Fai il lavoro che ti appassiona”, non credo sia l’espressione più corretta perché questo lavoro, l’ho amato, col tempo, facendolo. Passato l’esame, dopo mesi e mesi di studio, ero teoricamente una guida ma non avevo certamente pratica e l’impatto non è stato dei più semplici, perché sono stata letteralmente buttata nella mischia di un tour con dei croceristi a Genova, senza affiancamento, senza training, come oggi molti richiedono. 35 passeggeri anglo americani, niente cellulari, niente tecnologia e un supervisor severissimo: sul bus sono andata in panico, non mi ricordavo più niente.  Mi sono beccata una lavata di capo. E giù lacrime.

Fare questo lavoro, mi ha fatto capire di più la mia città natale, Genova, mi ha fatto conoscere zone che mi erano ignote o rileggerne altre che facevano parte della mia infanzia. E se all’inizio, il libro, la data, il nome erano i miei chiodi fissi in cui non potevo fallire, con gli anni il racconto si è vestito di dolcezza, di amore, di gratitudine. Ho fatto pace con Genova, parlando di lei, perché, come a molti di noi capita, da giovane la vorresti lasciare, perché è avara di possibilità, era (oggi va meglio), chiusa ed ostile alle novità, poi te ne vai e quando non ci sei più, ne senti la nostalgia, struggente.

Anch’io me ne sono andata, per amore, facendo mille giri, ogni tanto tornando e lavorando con i turisti, aggiungendo un pezzetto, ogni volta, un pezzetto delle esperienze che stavo facendo altrove.

Ora posso dirlo che faccio ciò che è la mia passione.

E intanto, sono passati 30 anni.

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